Il libro “Ice Cream” di H.D. Goff e R.W. Hartel non avrebbe bisogno di presentazioni se solo fosse stato tradotto in italiano: non dubito che oggi sarebbe forse tra i libri più diffusi sugli scaffali dei gelatieri. In parte perché meritevole. E in parte ahimè per il paradossale vuoto che ancora oggi persiste nel campo dell’editoria scientifica divulgativa italiana, tanto da incoraggiare all’acquisto chi di gelato industriale non si occupa.
È un po’ come dire: pur essendo un falegname, sono disposto a leggermi un manuale sulla produzione seriale di mobili, nella consapevolezza che in parte non riguarderà direttamente il mio ambito di lavoro.
Dunque questa è la sua principale criticità, che chiaramente non riguarda il testo in sé, ma la sua opinabile adeguatezza per il gelatiere artigiano italiano. Ciononostante i pregi sono molti e notevoli.
La prima importante caratteristica è il fatto che la trattazione si basa per lo più su review di studi scientifici, ossia revisioni sistematiche di molti lavori eseguiti in ambito accademico. Alla fine di ogni capitolo troviamo dunque una bibliografia riassuntiva inerente gli argomenti trattati. Molto utile se si vuole poi approfondire un particolare argomento.
D’altra parte non poteva che essere così dal momento che Goff e Hartel sono tra gli studiosi più noti nel settore, avendo ciascuno alle spalle centinaia di indagini scientifiche e grande esperienza.
Goff è docente alla University of Guelph, e oltre al libro oggetto di questa recensione, contribuisce a diverse altre prestigiose pubblicazioni come l’ “Encyclopedia of Dairy Sciences”, o all’ “Advanced Dairy Chemistry”. Collabora con molti ricercatori in tutto il mondo.
Richard Hartel è un food engineer, anche lui docente ma alla University of Wisconsin, studia in particolare la transizione di fase negli alimenti. Hartel vanta pubblicazioni di tutto rispetto, e recentemente sta indagando in modo approfondito i meccanismi della coalescenza parziale dei globuli di grasso nel gelato.
Quindi la prima grande differenza con i testi italiani, è che qui gli autori sono due ricercatori universitari che si rivolgono all’industria.
Ma se tra gelato e ice cream industriale cambiano i sistemi produttivi, le leggi fisiche rimangono le stesse. Pertanto dalla lettura di questo libro possiamo ricavare molte informazioni utili su aspetti quali la funzionalità degli ingredienti, la struttura del gelato, l’impatto da parte dei processi di lavorazione, e così via, descritti con un dettaglio che raramente si trova altrove. Diamo uno sguardo più da vicino.
Si inizia nel primo capitolo con una nota storica, per la verità un po’ approssimativa, ma sappiamo che non è questo il testo indicato per tale genere di informazioni. Si prosegue poi con l’analisi dei consumi, e con tutta una serie di argomenti a carattere introduttivo sull’ice cream, come la composizione e il processo produttivo, il tutto visto in modo molto schematico. Questo non per superficialità naturalmente, perché ogni aspetto viene sviluppato nel corso della lettura, ma per fornire un inquadramento generale.
Il secondo capitolo continua sullo stesso tenore, descrivendo gli ingredienti e quindi la classificazione delle varie tipologie di ice cream, o meglio di frozen desserts, con gli aspetti nutrizionali. Troviamo qualche formuletta sul computo calorico, sulla densità della miscela che sarebbe meglio chiamare peso specifico, e alcune considerazioni sull’etichettatura, sempre secondo il sistema statunitense.
Nel capitolo 3 come pure nel 4 si inizia a fare sul serio, analizzando nel dettaglio gli ingredienti più importanti che ricorrono nell’ice cream, sia dal punto di vista compositivo, che di impiego, e quindi di impatto sulla struttura in termini funzionali.
Si passa al capitolo 5 in cui vengono affrontate le prime fasi dei processi di lavorazione, quindi le diverse strategie produttive, i macchinari e le motivazioni per cui adottiamo certe operazioni piuttosto di altre.
Insomma è come se facessimo un giro virtuale in uno stabilimento, in cui ci viene permesso di assistere alle fasi operative. Queste vengono descritte anche nell’ottica di eventuali problematiche, e delle relative soluzioni, con qualche consiglio pratico. È un capitolo molto interessante, e anche se una buona parte di esso tratta situazioni che non si verificano per un artigiano, è utile per capire come reagisce la miscela ai diversi trattamenti meccanici e termici. Ogni tipo di feedback ci aiuta. In chiusura troviamo dei paragrafi dedicati alle caratteristiche fisiche della miscela come la viscosità e il punto di congelamento. Iniziamo dunque a entrare nell’ottica di un food engineer, che da una parte conosce la tecnologia e dall’altra l’impatto che ha questa sull’alimento e sui suoi parametri fisici.
Il capitolo 6 si concentra tutto sui calcoli matematici che possono riguardare l’attività di laboratorio, fornendo dei metodi di risoluzione per diversi problemi in cui ci si potrebbe imbattere. Si affrontano calcoli come quelli dell’overrun o del punto di congelamento, e quindi della curva di congelamento, secondo il metodo di Leighton. Certamente un metodo antiquato, ma che ha una sua validità e motivazione se consideriamo la facilità con la quale si possa ottenere un risultato comunque utile. Da questo punto di vista chiunque con un po’ di dimestichezza con programmi tipo Excel si può creare un proprio foglio di lavoro.
Nel capitolo 7 si prosegue la descrizione del processo produttivo con le operazioni di mantecazione. Vengono illustrate le diverse tipologie di macchine (comprese le macchine artigianali) con un’analisi piuttosto dettagliata, chiaramente sempre rimanendo nell’ottica di un impianto industriale. Una parte di quanto viene esposto probabilmente interesserà poco o nulla il gelatiere artigiano, così come i susseguenti capitoli in cui si parla delle macchine soft, dei prodotti estrusi e stampati, per poi terminare nel capitolo 10 con le ultime fasi di lavorazione, ossia di packaging, hardening e distribuzione.
Il capitolo 11 lo ritengo assolutamente interessante, e assieme al capitolo 6 valgono da soli l’acquisto del libro: si parla di struttura, di cristalli di ghiaccio, di destabilizzazione dei grassi, di bolle d’aria, di idrocolloidi, con belle microfotografie dell’ice cream e grafici eloquenti. Quindi si esaminano le proprietà fisiche, come la diffusività termica e il rateo di scioglimento, le proprietà reologiche, e infine i vari tipi di test che vengono normalmente effettuati negli studi scientifici. Considero questi argomenti una base di studio imprescindibile.
Il capitolo 12 tratta della shelf-life sia in termini fisici, che pratici. Si esaminano soprattutto i fenomeni di ricristallizzazione e destabilizzazione delle bolle d’aria e come la ricetta e le condizioni di conservazione e distribuzione dell’ice cream possano influenzarne l’andamento.
I restanti capitoli si occupano di igiene, di analisi chimica, fisica e microbiologica (anche questa parte è piuttosto interessante), quindi di analisi sensoriale per terminare con una carrellata di indicazioni per la formulazione di prodotti dal profilo nutrizionale meno comune.
Tirando le somme, nonostante le riserve riportate inizialmente, ogni gelatiere curioso e con un minimo di predisposizione a un approccio scientifico del proprio lavoro dovrebbe avere questo testo nella propria biblioteca.
Certamente potrebbe scoraggiare il fatto che sia scritto in inglese, ma si badi: è un inglese tecnico, pertanto con un vocabolario abbastanza ristretto di termini. Con un po’ di allenamento, anche chi ha un’istruzione scolastica riesce pian piano a leggerlo senza troppi patimenti. Se invece si sa un minimo di inglese, la lettura è abbastanza scorrevole.
Il livello si adatta a una discreta istruzione scolastica secondaria: non c’è motivo di temere la materia affrontata, e certamente non c’è bisogno di aver frequentato l’università per leggere e comprendere gli aspetti salienti del testo.
Tuttavia se il lettore è anche neofita nel settore, farà un po’ di fatica ad avere un quadro d’insieme. Anche se gli argomenti seguono una certa logica, gli aspetti discussi sono tanti e spesso molto approfonditi: insomma talvolta si può perdere l’orientamento. Per chi invece il gelato oltre a mangiarlo, lo produce e lo “legge”, non avrà di questi problemi. Da avere, ma poco adatto come primo libro.
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